Il 28 Aprile si è celebrata la giornata mondiale per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, e ancora una volta i numeri ci sbattono in faccia una realtà inaccettabile: si continua a morire e ad ammalarsi di lavoro.
I dati sugli infortuni e sulle malattie professionali in provincia di Venezia parlano chiaro: più precarietà, più sfruttamento e meno sicurezza. Con questi drammatici dati le Istituzioni dovrebbero adottare provvedimenti immediati invece di continuare solo con il cordoglio e i convegni.
Ogni infortunio è il risultato di scelte politiche sbagliate, di imprese irresponsabili e di controlli insufficienti. Ogni malattia professionale racconta una storia di diritti negati. Come Cgil di Venezia proprio a febbraio abbiamo incontrato le forze politiche in Consiglio Regionale ma oltre alle parole di impegno nessun provvedimento concreto è stato adottato. Per questo continueremo a batterci in ogni luogo di lavoro, nei tribunali, nelle piazze, per difendere il diritto fondamentale alla salute e alla vita.Registriamo un aumento complessivo degli infortuni, in particolare per i lavoratori più giovani e quelli vicini alla pensione, a testimonianza di una struttura del mercato del lavoro sempre più fragile e caratterizzata da precarietà, turni insostenibili e mancanza di formazione adeguata. Preoccupa l’incremento degli infortuni al lavoro e l’emergere di nuove malattie professionali legate al sistema muscolo-scheletrico e nervoso, che colpiscono lavoratrici e lavoratori sottoposti a carichi fisici e ritmi di lavoro sempre più intensi.
Il primo dato è quello che vede un aumento degli infortuni delle lavoratrici e dei lavoratori con cittadinanza Extra-UE. Dato che va rapportato al numero di persone che percepiscono un reddito da lavoro, storicamente in maggiore aumento per chi viene da fuori Europa (tra il 2022 e il 2023 i lavoratori extra ue sono aumentati del 7%, con un aumento delle settimane lavorate del 7,5%, contro a un aumento del numero di lavoratori italiani e comunitari del 1,3% e delle settimane lavorate dell’1,5%). Resta un dato da considerare il fatto che nel 2023 il tasso di infortuni tra lavoratrici e lavoratori extracomunitari fosse di 3,8 infortuni ogni 100 lavoratori, contro i 2,5 ogni 100 lavoratori comunitari. Tra i cittadini non italiani, il maggior numero di infortuni nel 2024 si registra tra i cittadini del Bangladesh (329), della Romania (280) della Moldavia (257), del Marocco (255) e dell’Albania (249).
Il maggior numero di infortuni avviene nella fascia d’età compresa tra i 46 e i 60 anni, ma in termini relativi il maggiore aumento nel numero di infortuni si ha nella fascia degli under18 e degli over60. Analizzando il dato degli under18, escludendo gli infortuni scolastici (coperti dall’INAIL), vediamo che nel 2023 vi sono stati 106 infortuni di lavoratori minorenni nell’industria e nei servizi, nel 2024 sono stati ben 171.
La maggior parte degli infortuni che riguardano il macrosettore “industria e servizi”, continuano ad essere nel terziario, mentre proprio nell’industria si evidenzia un aumento del 5,83% rispetto all’anno passato.
Anche i dati sulle malattie professionali non possono che destare fortissima preoccupazione. La situazione continua ad essere grave e aumentano numerose patologie invalidanti per le lavoratrici e i lavoratori. Ogni aumento, ogni nuova denuncia, ogni vita rovinata non è una fatalità: è il prodotto di un sistema che sfrutta, consuma e poi butta via le persone. Mentre in Europa si approvano provvedimenti reali – dal rafforzamento della prevenzione obbligatoria in Spagna al diritto al prepensionamento per lavori usuranti in Francia – da noi si adottano misure parziali e insufficienti sotto il peso dell’indifferenza. La crescita delle malattie muscolari e nervose racconta di cantieri, magazzini, uffici dove la salute viene sacrificata per risparmiare su sicurezza e formazione.
I dati dicono in modo chiaro che la prevenzione nel nostro Territorio è una formalità, l’investimento in salute e sicurezza è un adempimento burocratico. Deve essere la Regione a dare il segnale di un cambio di rotta, della volontà politica di mettere fine alla strage. Senza un vero coinvolgimento di tutte le parti, senza un confronto sugli strumenti applicabili concretamente per migliorare le condizioni di lavoro, siamo destinati a vedere crescere il numero di famiglie che pagano le conseguenze degli infortuni.