Crisi del tessile e del calzaturiero: misure insufficienti

A distanza di un anno dall’iniziativa sulla crisi del distretto dell’artigianato tessile calzaturiero della Riviera del Brenta promosso dalla FILCTEM CGIL di Venezia, ancora troppo poco è stato fatto per salvare un settore importantissimo del nostro territorio.

Seppur alcuni temi da noi sollevati sono entrati finalmente nell’agenda del Governo con il DDL 1484 in discussione in Parlamento, siamo ancora distanti da quello che pensiamo sia utile al distretto della moda. 

Le azioni messe in campo riteniamo che siano incomplete e da sviluppare con il contributo di tutte le parti.

Continua la pesante crisi nel settore: da fonti della Confartigianato si vede una perdita nei primi otto mesi del 2025 pari al 6,6 % di produzione nel tessile abbigliamento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, dato preoccupante che, collegato al dato sull’export, denota come ci sia una tendenza ad acquistare maggiormente prodotti dalla Cina (+11,8 %) con una domanda dall’estero che diminuisce.

Serve comprendere i veri problemi che stanno strozzando il sistema e che, negli ultimi 2 anni, hanno portato alla chiusura di moltissimi laboratori e ad una spesa incalcolabile per gli ammortizzatori sociali con la perdita di moltissimi posti di lavoro.

Si continua a ragionare a compartimenti stagni, la parte legata alle grandi firme è staccata dai problemi dei piccoli laboratori e nelle dinamiche della filiera questo scollamento porta ad una lacerazione devastante.

Questi argomenti devono essere affrontati entrando nel profondo del settore perché in alternativa non si avrà mai il controllare la filiera, determinando una concorrenza sleale, una corsa al ribasso dei prezzi di produzione a scapito delle piccole aziende e dei salari dei lavoratori, inserendo lavorazioni non rispettose della salute e sicurezza e delle norme basilari.

Il DDL 1484 in discussione in Parlamento tocca vari temi da noi sollevati, come l’associazione d’impresa, il controllo della filiera e l’accesso al credito per le piccole imprese, ma riteniamo che questi capitoli non vengano trattati al pieno delle necessità e a volte vengono sviluppati in contrasto con l’obiettivo da raggiungere. 

Un esempio è la soluzione proposta per la normativa legata alla certificazione di conformità, tra l’altro VOLONTARIA, da parte delle committenti sulla filiera, dove si prevede la deresponsabilizzazione sulla legalità per  le aziende capofila della filiera della moda, in eventuali comportamenti illeciti dei soggetti della filiera.

Tale aspetto riteniamo che non possa essere affrontata in termini di volontarietà e così come è posta rischia di creare una disparità ancora più accentuata tra azienda committente e la miriade di piccole aziende fornitrici di prodotto e manodopera.

Non basta dire che VOLONTARIAMENTE ci può essere la certificazione della filiera da parte di soggetti abilitati e che la capofila, al momento della stipula del contratto di fornitura, dovrà acquisire la documentazione di regolarità contributiva e fiscale attraverso degli audit per garantire trasparenza lungo l’intera catena.

Già oggi, attraverso gli audit ci dovrebbe essere tale controllo, audit che, seppur importante per molti aspetti, non è fonte di garanzia per una filiera legale e a volte rischia di inserire costi aggiuntivi alle piccole aziende che si trovano a dover impiegare proprie risorse in modo sistematico per rispondere a queste continue documentazioni da produrre.

Occorre quindi mettere le condizioni perché le piccole aziende non vengano strozzate da particolari burocrazie e soprattutto che non prevalga la ricerca del massimo profitto delle aziende più grandi a scapito delle più deboli della catena che per sopravvivere ricercano l’appoggio della manodopera di subappalti al ribasso.

Questo meccanismo porta con sé l’entrata di laboratori irregolari che distruggono la filiera.

Serve premiare le filiere sane e i laboratori in regola, definire il costo minimo di produzione, abbassare i costi di produzione nella filiera, stimolare la ricerca della nuova produzione, agevolare la filiera in uscita con iniziative per produrre nei distretti dinamiche di riciclo e riutilizzo dei materiali tessili, delle pelli, cuoio e plastiche.

A livello Europeo crescono le esperienze e i progetti per nuovi modelli per la raccolta, smistamento e riutilizzo dei tessuti e dei pellami, estendendo la responsabilità del produttore; crediamo che queste esperienze vadano sostenute e sviluppate in tutto il settore della moda anche in Italia.

Dentro queste logiche si inserisce il ragionamento dell’aggregazione delle piccole aziende che, seppur presente nel DDL 1484, deve essere sviluppato diversamente rendendolo uno strumento che miri a creare agevolazioni pratiche ed economiche e non un titolo normativo.

L’aggregazione potrebbe aiutare le piccole aziende nella gestione collegiale degli audit, per finanziare progetti proposti da professionisti messi a disposizione per il consorzio di aziende, rientrare nella filiera dell’economia circolare del materiale di scarto etc.

Come FILCTEM CGIL riteniamo che il termine filiera abbia oggi delle caratteristiche diverse rispetto a qualche anno fa, le grandi firme hanno cambiato l’assioma a cui si era abituati nel settore e hanno spezzato questa filiera, che va ricomposta.

Serve un tavolo di confronto di tutto il settore della moda, mettendo assieme le parti sociali che rappresentano l’artigianato, l’industria e i lavoratori, comprendendo che oggi non è più il momento di ragionare a comparti stagni se vogliamo affrontare uno dei momenti più difficili di sempre del settore.