Jeff Bezos ha scelto di organizzare una grande festa a Venezia. In questo contesto le Istituzioni si sono messe al suo “servizio” comportandosi come uscieri della città.
Anziché governarla si limitano semplicemente ad aprire le porte della “sala da ballo”. In questo senso chi amministra si è dimostrato molto impegnato nel trasformare il dibattito che si è aperto sulla possibilità o meno che Bezos possa avere accesso alla città, senza entrare nel merito, senza prendere in considerazione l’opinione di chi la città la abita.
Non stiamo mettendo in discussione a possibilità di scegliere la città più bella del mondo per un momento importante della propria vita, o per celebrare una grande evento. Questa vicenda pone il tema del rapporto tra città ed eventi, che vale in particolare per Venezia e che contribuisce a definire la sua stessa natura.
Brugnaro alimenta scientemente la polemica perché sa che gli serve. È la strategia perfetta per mascherare la propria inadeguatezza: spostare l’attenzione, creare un nemico esterno, evitare qualsiasi confronto sui veri problemi della città. Ancora una volta, la città è trattata come una vetrina da esibire e consumare, non come un luogo vivo, con persone, diritti, bisogni. Con un apparente disprezzo per le lavoratrici e per i lavoratori che sono l’elemento chiave del tessuto sociale ed economico.
Ciò che emerge anche nella confusione comunicativa, è gravissimo: una parte significativa della città verrà occupata. Spazi pubblici, funzioni fondamentali, mobilità: tutto sarà condizionato, limitato, bloccato. Chi vive qui percepisce questo evento come “un’occupazione”. Come se Venezia potesse essere sottratta ai suoi abitanti sulla base della ricchezza individuale. Intanto si tenta di giustificare tutto questo con l’indotto economico che l’evento produrrebbe. Si parla di ritorno economico senza mai parlare di come e dove queste risorse vadano a finire.
Non si entra mai nel merito della economia degli eventi, che se gestita male (o non gestita) svuota la città. Non la qualifica, non crea lavoro stabile, non permette nemmeno a chi lavora in questo sistema di potersi permettere di vivere all’interno della città. La gigantesca questione salariale che attraversa Venezia – donne e uomini con stipendi da fame, impossibilitati a pagarsi un affitto – rimane fuori da ogni discussione.
Allo stesso modo si magnifica il ruolo di Amazon, che necessiterebbe senza dubbio di essere messo in discussione, sottraendosi ad una logica meramente fondata su chi può e chi non può spendere. La vicenda Bezos rilancia una questione centrale. A chi appartiene Venezia? Chi può viverci, lavorarci, costruire un futuro? Quali spazi riservare a determinate iniziative, e qual è il limite entro le quali possono impattare sulla città e sui cittadini?
Serve aprire una discussione vera, pubblica, inclusiva. Oltre le proteste, oltre le polemiche questa occasione deve diventare un momento di riflessione collettiva sulla città, su chi la abita e su chi la vorrebbe abitare. Deve diventare un’occasione di discussione sul fragile equilibrio tra cultura ed eventi di costume, prendendo attentamente in considerazione gli effetti che le scelte producono e le loro ricadute sull’economia del territorio metropolitano.